Per chiunque si interessi al mondo del lavoro è d’obbligo esaminare ciò che sta succedendo in FIAT. In pratica la ridiscussione dei basilari diritti dei lavoratori con la scusante della crisi e della globalizzazione (che significa se tu non ci stai io vado a produrre da un’altra parte).
Tanti hanno già scritto, chi a favore e chi no, sull’argomento perciò rimandiamo a fonti più competenti una discussione approfondita (in proposito vi consigliamo di leggere un articolo a nostro avviso, di semplice lettura ed esaustivo, scritto da Carlo Guglielmi dell’Ufficio Legale Nazionale USB e Forum Diritti/Lavoro: L’Accordo di Mirafiori, è un po’ lunghetto ma dopo averlo letto potrete comprendere correttamente la situazione delineata dal nuovo accordo imposto da Marchionne).
Una cosa comunque è sicura. I lavoratori, con in testa, gli operai metalmeccanici (ma vedrete che più avanti molte altre categorie seguiranno), stanno vivendo un “viaggio nel tempo”. Un ritorno all’800 dove l’unico imperativo immaginabile era “produrre” al minimo dei costi possibili, e nella voce costi erano incluse la vita e la dignità dei lavoratori.
Lasciando perdere le vecchie concezioni ideologiche di scontro lavoratori/padroni (posizioni che comunque più passano gli anni più ritornano attuali, con tutto ciò che ne conseguirà, che Marchionne voglia o no) come sarà possibile in un contesto globalizzato riportare su strade più equilibrate il rapporto tra proprietà e lavoratori?
Diciamo subito a scanso di equivoci che in un ambito ristretto come quello nazionale non è più possibile proprio a causa della famosa libertà di andare a produrre dove si vuole (l’a.d. Fiat e molti altri giocano appunto su questo). Cosa fare allora? La verità è che solo guardando a macro aree geografiche, come ad esempio quella europea, in cui ridefinire regole di “produzione e vendita dei beni di consumo” e regole sull’import e sull’export delle merci valide appunto per centinaia di milioni di persone (le attuali sono ultraliberiste), potrebbe essere possibile attuare leggi sul lavoro più rispettose della dignità delle persone affinché si impedisca la degenerazione dei rapporti tra imprenditori e lavoratori.
Ma oggi questo non lo vuole nessuno delle grandi multinazionali che hanno investito enormi capitali per spostare le loro fabbriche in Paesi sottosviluppati dove si può produrre a costi bassissimi e con poche tutele per i lavoratori. Inoltre i sindacati non sono preparati, arroccati come sono nel cercare di difendere le proprie posizioni nazionali, ad un’unità europea (facile a teorizzare, difficilissima a realizzare), l’unica che potrebbe permettere un reale ruolo di bilancio sulle trattative tra lavoratori e imprenditori.
Nel frattempo cosa facciamo? Aspettiamo la cancellazione di tutti i diritti sul lavoro acquisiti negli anni passati a fronte di dure battaglie sociali e ci rassegniamo a lavorare come vuole Marchionne senza rappresentanza sindacale se “ostile” alla proprietà, su 18 turni settimanali e per 10 ore e più al giorno, con pause ridottissime, senza mensa e sperando di non ammalarci dato che non ci verrà pagata la mutua, oppure reagiamo?
Reagiamo certo! Ma i primi a reagire dovrebbero essere i lavoratori precari visto che per loro questa situazione “fuori dal diritto” è già reale da molti anni. Quello che si vuole ottenere, infatti, non è nient’altro che un livellamento “al ribasso” di questi diritti. Ed ecco perché l’eliminazione del lavoro precario deve interessare anche chi precario non è. Perché se non ci si unisce tutti insieme, lavoratori precari e non, per cancellare il precariato, anche chi ha un contratto a tempo indeterminato finirà per subire gli stessi ricatti, che è poi quello che sta accadendo con la New Corp. di Marchionne.
Noi lo diciamo e scriviamo da tempo: una valida reazione utile all’economia (come affermato dal governatore della banca d’Italia, Mario Draghi) e soprattutto a ridare speranza nel futuro a oltre 3.500.000 di lavoratori italiani è quella di abolire il lavoro precario. Questo è infatti il primo e imprescindibile punto del nostro movimento (che intende diventare partito se tutti voi vi unirete a noi). Inoltre se sacrifici devono essere fatti non si comprende perché questi sacrifici li debbano fare solo i lavoratori (e a volte solo quelli appartenenti a certe classi come accade per gli operai).
Perché in questo Paese la classe politica continua imperterrita ad ingrassare grazie ai soldi che gli giriamo con i rimborsi elettorali? Abbiamo infatti scritto più e più volte che decrementando gli stipendi dei politici a tutti i livelli, i rimborsi elettorali, ed eliminando le provincie (enti assolutamente inutili) possiamo risparmiare quasi un paio di decine di miliardi di euro (una cifra pari ad una finanziaria) all’anno. Senza pensare a cosa si otterrebbe con una corretta lotta contro l’evasione e la corruzione. Questo è il secondo punto del nostro programma.
Ma per fare queste cose occorre avere milioni di persone che ci sostengano. Per questo continueremo a chiedervi di unirvi a noi.
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Grazie per l’attenzione
Lo staff di
Aboliamo il lavoro precario
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